MOTIVAZIONE: la sentenza è nulla quando, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione
L′erronea considerazione dell′assorbimento da parte del giudice comporta l′assenza assoluta di motivazione
In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall′art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall′art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando si ritengano assorbite dalla decisione su una questione preliminare questioni del tutto indipendenti dalla stessa.
La motivazione risulta solo apparente, e la sentenza è nulla poiché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all′interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
L′erronea considerazione dell′assorbimento da parte del giudice comporta l′assenza assoluta di motivazione.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. I, Pres. Di Marzio Rel. Caiazzo, con l′ordinanza n. 13289 del 14 maggio 2024.
Nel caso di specie, il Tribunale di Ancona con sentenza revocava il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della Società debitrice a favore della Banca, determinando il credito di quest′ultima nel minore importo di 387.007,44.
Avverso detta sentenza, parte debitrice proponeva appello principale, nel giudizio del quale si costituiva la banca contestando il gravame e chiedendo, in via incidentale, il riconoscimento di spese, oneri e competenze già conteggiati dalla banca stessa ma ritenuti non dovuti, in quanto non espressamente pattuiti.
Nel corso del giudizio d′appello, la Banca veniva incorporata in altro istituto bancario che, per effetto di un′operazione di cartolarizzazione aveva ceduto il proprio portafoglio crediti a una società, la quale a sua volta aveva conferito mandato ad altra società di provvedere alla riscossione dei crediti ceduti, la quale interveniva in giudizio.
La difesa della appellante sollevava eccezione di carenza di legittimazione passiva nei confronti della predetta società, intervenuta ai sensi dell′art. 111 c.p.c., quale successore a titolo particolare della Banca, in quanto non riteneva sufficiente la pubblicazione in G.U. dell′avviso di cessione dei crediti pro soluto, non rinvenendosi, a suo dire, il credito in contestazione né in tale avviso né sulla lista pubblicata sul sito di rinvio.
La Corte di Appello di Ancona accoglieva l′appello proposto e revocava il decreto ingiuntivo, senza affrontare il merito, ritenendo fondata ed assorbente l′eccezione preliminare di parte appellante.
Avverso tale sentenza la Banca, rappresentata e difesa dallo Studio Legale Illuminati & Associati, proponeva ricorso per cassazione lamentando in particolare, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 111, 4° comma, Cost., 112, 113, 132, 2° comma, n. 4, c.p.c., in relazione all′art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c..
La Corte di Appello aveva infatti concluso che ritenuta assorbita ogni altra domanda di merito, l′appello (doveva) essere accolto; si trattava, secondo parte ricorrente, di una motivazione apparente, se non del tutto inesistente, poiché non consentiva alcun controllo sull′esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio.
Per la tesi difensiva della banca, il giudice d′appello, anche ritenendo che la cessionaria del credito non avesse dimostrato la propria legittimazione, non avrebbe potuto trarne come conseguenza giuridica l′accoglimento dell′opposizione, ma avrebbe comunque dovuto affrontare il merito della controversia e accertare o meno l′esistenza del credito. Invece nella sentenza non vi era stato alcun riferimento alle doglianze di merito sollevate dagli appellanti.
Appariva evidente, dunque, sempre secondo parte ricorrente, che la sentenza in questione avesse violato il principio sancito dall′art. 111, comma VI, della Costituzione, secondo cui tutti i provvedimenti giudiziali debbono essere motivati, nonchè l′art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., per carenza di concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
La Suprema Corte, investita della vicenda, ha rammentato che in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall′art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall′art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentato di seguito.
Conseguentemente la motivazione risulta solo apparente, e la sentenza è nulla poiché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all′interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 25392/2019; Cass., Sez. U. n. 22232/2016).
Nella specie, ha osservato la Suprema Corte del tutto erroneamente la Corte d′appello ha ritenuto che, una volta decisa la questione preliminare relativa al ritenuto difetto di legittimazione attiva della intervenuta società risultassero assorbiti sia l′appello principale (ben nove motivi) sia quello incidentale, trattandosi di questioni di diritto del tutto indipendenti rispetto alla decisione sulla questione preliminare. Dunque, l′erronea considerazione dell′assorbimento comporta l′assenza assoluta di motivazione.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha accolto il secondo motivo del ricorso principale, precisando che in presenza di fusione sopraggiunta nel corso del giudizio, la dizione dell′art. 2504-bis c.c. secondo cui in tutti i rapporti giuridici delle società incorporate anche processuali vi è una prosecuzione dell′incorporante vale ad evitare ex lege l′interruzione stessa, dato che l′incorporata ne prosegue senza soluzione di continuità i rapporti, anche processuali.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d′appello di Ancona, in diversa composizione, con il compito di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.